Partecipazione popolare verso la “politica diffusa”
Partecipare per 365 giorni all’anno e non solo per le elezioni
CON LA PARTECIPAZIONE POPOLARE STRUTTURATA
VERSO LA “POLITICA DIFFUSA”
La Partecipazione Popolare Strutturata come cassetta degli attrezzi a disposizione di ogni cittadino affinché la “politica diffusa” possa sostiture la politica dall’alto, inefficiente, obsoleta e apportatrice di collusioni e corruzioni
Desideriamo per prima cosa affermare senza timore il primato del pensiero (Michela Marzano, Non seguire il mondo come va, 2015), poiché il richiamo oggi spesso enfatico al “fare” diviene patetico senza un robusto pensiero di riflessione e di preparazione.
Il Manifesto è stato scritto per reazione ad un senso di solitudine politica. La metafora è quella dei neuroni, connessi da dendriti che una mano paziente quanto disdicevole ha resecato con furba pazienza per anni e anni, isolandoci gli uni dagli altri, scatenando un individualismo autoreferenziale sempre pericolosamente latente (nella metafora i neuroni siamo noi). Ma, per fortuna antropologica, in ciascun neurone è rimasto il ricordo dell’altro, c’è la percezione dell’altro. Il Manifesto vuole essere uno squillo di tromba, o forse un timido scampanellio, per vedere chi alza una mano, per chi dice “ci sono” con l’intento di realizzare un progetto basato sul riconoscersi ed essere riconosciuto.
Se nel Manifesto prendiamo le mosse dalla crisi dei partiti non è per negarne l’utilità, al contrario. Sentiamo forte la mancanza di alcune funzioni ad essi proprie, come la selezione del personale politico, l’educazione alla politica, la formazione delle identità collettive. Ma i partiti sono in crisi sin dagli anni ’70, con la progressiva perdita delle dimensioni locali delle istanze della società (Giulio Marcon, Come fare politica senza iscriversi ad un partito, 2005), istanze che divenivano internazionali in quello che fu l’inizio di una globalizzazione che rendeva impossibile dare agli iscritti risposte certe; mentre, fornire risposte “certe” poteva significare essere smentiti di li a poco, con grave perdita di credibilità. La successiva deriva omnifagocitaria e autoreferenziale distrusse il tessuto dei partiti, anche se ognuno di essi declinò la crisi in rapporto alla propria storia, al rapporto più o meno stretto con il proprio elettorato e il proprio territorio.
Occorre un pensiero nuovo e fra i tanti ci soccorre Gramsci che da carcere scriveva “tutti gli uomini sono intellettuali, ma non tutti svolgono nella società la funzione di intellettuali”, e con una parafrasi essa può significare che tutti gli uomini sono politici e che ora e non un momento più avanti è il momento fare in modo che la maggior parte di essi abbia a disposizione gli strumenti per esserlo.
Superando l’ostacolo rappresentato da partiti politici che già nel 1996 da Melchionda definiva “agenzie semipubbliche per l’organizzazione delle elezioni”, occorre andare verso quella che chiameremo “politica diffusa” (Giulio Marcon, op. cit.), facendo in modo che ogni cittadino disponga di una adeguata cassetta degli attrezzi, quelli della Partecipazione Popolare Strutturata.
La Partecipazione Popolare Strutturata può essere a nostro avviso declinata su tre piani di intervento. La Progettazione della Città, che si gioverà di strumenti noti quali Udienza, Petizione, Progetto, Referendum, con l’avvertenza di dover adeguare lo Statuto Comunale. La Partecipazione alla Gestione dei Beni Comuni è il campo dove già si sono giocate esperienze, da quelle minime tipo “Adotta una aiuola” alla gestione di edifici, musei, giardini, palestre. Gli strumenti saranno Inventari dei Beni, Piani di Fruizione, Bandi e Regolamenti da studiare di volta in volta, procedure ad hoc. Un terzo piano di intervento sarà quello della Partecipazione Popolare attraverso opere volontarie sui Beni Comuni, come accade nel caso di allacciamenti alle reti tecnologiche, volontari e a proprie spese. Gli strumenti saranno rappresentati da Linee Guida per la redazione dei progetti e per la realizzazione delle opere, Regolamenti per la ripartizione degli oneri e per la tassazione del servizio pubblico che verrà fornito.
In definitiva, la Partecipazione Popolare Strutturata consente la Politica Diffusa ai Cittadini, il cui effetto sarà di stimolo e di crescita anche nei confronti dei partiti o della parte sana di essi. Non si tratta di una opzione, bensì (prendendo in prestito i termini e i concetti espressi da Emanuele Felice, in Perché il Sud è rimasto indietro, 2013), di una via obbligata per transitare dalla modernizzazione passiva a quella attiva e consapevole, comprimendo al massimo possibile gli spazi di movimento delle istituzioni politiche e economiche estrattive che hanno massacrato l’economia del mezzogiorno e delle nostre città.
E proprio perché sappiamo bene che i centri nevralgici del potere e della finanza sono sempre più lontani ma non per questo imprendibili (Lidia Undiemi, Il ricatto dei mercati, 2014), riteniamo a maggior ragione che sia la Città, il Municipio, ineludibilmente il luogo di confronto fra Amministrazione e Persone che qui debba avvenire la ripartenza dei diritti civili tramite la Partecipazione Popolare Strutturata.
Fino a che non verranno dotati degli Strumenti per partecipare, i Cittadini non avranno alcuna ragione per mostrare fiducia, non ci sarà in loro né speranza, né sorgeranno progetti comuni, né fioriranno iniziative da portare avanti insieme. E non andranno a votare.
Non ci resta, perciò, che cominciare, proseguendo nella progettazione di Strumenti e Azioni e nel confronto con i Partiti e con la Società Civile.