La privacy della Munnizza
I sacchi neri vanno per la maggiore …
ma non vanno
I sacchi neri riscuotono simpatia in varie amministrazioni, ma sul piano del sacrosanto diritto di ogni cittadino alla propria privacy sembra si possa affermare che… non tutto il nero brilla. Anzi, tutt’altro. Ma andiamo con ordine.
Nella città capitolina è stato approvato il 21 gennaio, in commissione Ambiente, il nuovo regolamento per la gestione di rifiuti urbani. Fra i nuovi strumenti che si intende utilizzare per porre rimedio a numerose disfunzioni, il divieto dell’impiego dei sacchi neri (opachi) per i rifiuti indifferenziati.
Roma non è sola nella scelta che comporta l’uso dei i sacchi trasparenti. Anche un Comune estremamente più piccolo, ma non per questo necessariamente meno significativo, Scicli, ha compiuto una analoga scelta. Infatti, già nella nota stampa comunale n.3037 del 13/05/2020 si citava una ordinanza sostanziamente analoga a quella romana, che nella cittadina iblea vietava – e tutt’ora vieta – l’uso del sacco nero “in quanto non consente di valutare il tipo di rifiuto in esso contenuto”.
Di parere contrario il Garante della Privacy, in una nota addirittura del 2005 confermata nella relazione annuale del 2014 presentata a Roma nel 2015, e a quanto pare tutt’ora valida, la quale nota contrasta con l’imposizione, da parte dei Comuni, dell’utilizzo di sacchetti trasparenti ai fini della raccolta differenziata porta a porta.
Infatti, attraverso i rifiuti solidi urbani è possibile risalire ad informazioni classificabili come dati personali. Fra questi ultimi rientrano i dati anagrafici (ricavabili da una fattura di pagamento), le abitudini alimentari, gli aspetti della salute, le opinioni politiche, le confessioni religiose, l’orientamento sessuale e tanto altro ancora.
I dati personali, lo ricordiamo, sono definiti nel Regolamento dell’Unione Europea n. 679 del 27 aprile 2016, per il quale “dato personale” è “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile”.
Insomma, per il Garante né il nostro vicino di pianerottolo, né i comuni passanti, hanno il diritto di sbirciare nei sacchetti che rilasciamo fuori dal portone in attesa del ritiro da parte degli addetti del servizio porta a porta.
Come effettuare allora i necessari monitoraggi sulla regolarità della differenziata? Per questi fini di controllo, per attuare la corretta esecuzione della differenziata, il Garante indica il ricorso a personale appositamente abilitato a procedere alla apertura dei sacchetti. E dopo aver accertato l’eventuale errata differenziazione, solo personale abilitato (non necessariamente lo stesso che ha aperto il sacchetto) potrà poi procedere alla identificazione dell’utente. Lo stesso personale potrà aprire i sacchetti abbandonati nel territorio per procedere alla identificazione dell’autore dell’abbandono.
Ma attenzione: è stata ritenuta invasiva anche la pratica di ispezioni generalizzate dei sacchetti: «Tale facoltà [apertura dei sacchetti] deve essere esercitata selettivamente, nei soli casi in cui il soggetto che abbia conferito i rifiuti con modalità difformi da quelle consentite non sia in altro modo identificabile».
In definitiva, per il Garante della privacy non è lecito, da parte dei Comuni o in generale dei soggetti preposti, imporre l’utilizzo di sacchetti trasparenti ai fini della raccolta differenziata porta a porta, in quanto viola la privacy dei cittadini e non è ritenuto né necessario, né proporzionale agli obiettivi di controllo.