LO “SVILUPPO SOSTENIBILE” TRUFFA IDEOLOGICA A SERVIZIO DEL DIS-ORDINE
Quanto al significato della parola “sostenibilità”, e senza tirare in ballo l’intelligente ambientalismo militante di Vandana Shiva, dobbiamo prima sapere quali sono le posizioni che condividiamo.
Se quelle espresse nel 1972 dal presidente Sicco Mansholt e dal Commissario Raymond Barre. Oppure, quella del lobbysta Henry Kissinger che nel 1992 si è tragicamente imposta fino ai nostri giorni per il semplice motivo che copre ogni azione, ogni progetto che per quanto spudorato, solo avendo il termine “sostenibile” nel titolo acquistava un certificato di buona condotta per quanto devastante potesse essere nei confronti dell’ambiente
“Sviluppo sostenibile, dal 1992 fraudolenta etichetta tutta per voi“
… “sviluppare un’area”. Per “svilupparla“ si distrugge radicalmente ogni forma di vegetazione naturale; si ricopre il terreno così liberato con uno strato di cemento, (o, nel migliore dei casi, si semina una erbetta rada che riveste i parchi pubblici delle città); se esiste anche una fascia di litorale, la si rinforza con un bell’argine di cemento; i corsi d’acqua vengono sistemati a terrazze (o meglio ancora se possibile, in apposite tubazioni); si avvelena a fondo tutto quanto con potentissimi prodotti chimici e infine si vende il terreno al miglior offerente, cioè a un consumatore istupidito e addomesticato dall’assuefazione alla vita cittadina.
[Konrad Lorenz – 1903 – 1989, Il declino dell’uomo]
“Per gli dei immortali, che vogliono che non mi accontenti di ricevere questi beni dai miei antenati, ma che li trasmetta anche ai miei discendenti.”
[Cicerone, Catone il Vecchio: la vecchiaia]
Tutto ciò che ha un prezzo si può sostituire; la dignità non ha prezzo
[Kant]
Il termine sviluppo sostenibile è una espressione presente in molte pubblicità, dal caffè alle automobili tanto da essere definita acchiappatutto dall’economista filosofo Serge Latouche (1940).
Il 22 aprile del 1970, negli Stati Uniti, 20 milioni di ambientalisti si mobilitarono per sensibilizzare il governo e l’opinione pubblica sulla necessità di tutelare le risorse naturali. Nasceva così la prima Giornata mondiale della Terra (Earth Day), ratificata poi dalle Nazioni Unite.
Nel 1972 il presidente della Commissione Europea Sicco Masholt, traendo coraggiose conseguenze dal primo rapporto del Club di Roma, tentò di orientare la politica di Bruxelles verso un ripensamento della crescita, e il commissario francese Raymond Barre espresse pubblicamente il suo disaccordo, per convenire che era necessario rendere la crescita più umana, più equilibrata.
Sempre nel 1972 il termine “ecosviluppo” apparve nella conferenza dell’ONU sull’ambiente tenutasi a Stoccolma, fu ripreso nella dichiarazione di Cocoyoc dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) e dalla Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Uncced) nel 1974. Per pressioni della lobby industriale statunitense e grazie all’intervento personale di Henry Kissinger l’espressione sviluppo durevole o sostenibile – sustainable development – entra in scena alla conferenza di Rio del giugno 1992 e finisce per imporsi.
D’altro canto, come dimostra una parte del dibattito corrente (per tutti: George Lakoff nel suo Non pensare all’elefante) dietro alle dispute sulle parole si avertono divergenze di idee, di concezioni del mondo, e di interessi (e non solo teoriche) [Latouche].
Nel 1989 John Pezzey della Banca Mondiale, censiva 37 accezioni differenti del concetto di sustainable development. Il rapporto Brutland (World Commission, 1987) ne contiene sei. François Hatem nello stesso periodo ne catalogava 60 e proponeva di classificare le teorie in voga sullo sviluppo sostenibile in due categorie: “ecocentriche” e “antropocentriche”, dove le prime si danno per obiettivo primario la protezione della vita in generale e le seconde il benessere dell’uomo.
Dello sviluppo antropocentrico viene affermata la qualità di “durata infinita” da parte del mondo industriale, di gran parte del mondo politico e, a quanto sembra, dalla totalità degli economisti. Il presidente del Consiglio per lo Sviluppo Durevole definiva questo ultimo come “sviluppo degli scambi di ogni natura a livello mondiale” [France – Inter, febbraio 2002], e a Maurice Strong che dichiara “il nostro modello di sviluppo, che porta alla distruzione delle risorse naturali, non è praticabile” [4 aprile 1992], si contrappone George Bush sr: “Il nostro tenore di vita non è negoziabile”, laddove ai sensi del Washington Consensus, sembra che per nostro si voglia espressamente indicare il tenore di vita del popolo statunitense.
Se lo “sviluppo antropocentrico” è dunque espressione che non dà luogo a equivoci per la dichiarata appartenenza liberista e per la forte caratterizzazione di chi la usa, lo “sviluppo ecocentrico” riserva le sorprese maggiori, poiché seppure puntato verso la preservazione degli ecosistemi non pare interrogarsi sulla compatibilità dei due obiettivi, quelli dello “sviluppo” e della “difesa dell’ambiente” in un pianeta a risorse limitate.
Né può essere a questo punto ignorato che “In effetti c’è un altro significato – pericoloso – che può essere dato all’espressione sostenibile. Questo significato si riferisce non al carattere durevole della natura, ma a quello dello sviluppo stesso.” Si tratta “di uno slittamento disastroso del significato di “sustainability”. [Vandana Shiva, Risorse, in Dizionario dello sviluppo, cit.]
Invero, già nel rapporto Brundtland giacevano incongruenze non secondarie che sfociarono nell’accoppiamento ossimorico fra “sostenibile”, espressione sempre accettabile e foriera di azioni legittimamente e doverosamente perseguibili, con sviluppo, un termine che declinato in maniera opposta alla durevolezza fa da base alla sostenibilità.
Con la sostituzione e/o della compensazione delle risorse naturali, con il gioco della sostituzione capitale / natura, e nonostante sia divenuto chiaro che “il modello di sviluppo finora seguito da tutti i paesi è fondamentalmente non durevole, al di là delle arguzie che circolano intorno al concetto di sviluppo durevole” [Michel Petit, membro del Gruppo internazionale di esperti sul clima – GIEC], la rapina delle risorse
E mentre accade che Michel Camdessus ex presidente del FMI sottoscriva un manifesto per uno sviluppo sostenibile che trova pieno accordo delle multinazionali maggiori responsabili dell’inquinamento mondiale, i fatti, però, ostinatamente e pericolosamente avvicinano l’Earth Overshoot Day, data in cui la domanda di risorse naturali esercitata sul pianeta dall’umanità supera la capacità di rigenerarle, è caduta il 21 luglio 2021.
Non incoraggiante infine l’assai diffusa definizione di sviluppo sostenibile secondo la Commissione delle Nazioni Unite: “lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”. Una definizione, come si può notare, che basandosi sull’astratto e dinamico senso della soddisfazione dell’individuo – ancorché esteso a intera fascia di futura generazione – neutralizza con colpevole ignavia l’argomento della riduzione delle risorse in gioco e del loro ormai rapidissimo consumo.
Considerazioni conclusive e prospettive
Non vi è dubbio che l’espressione sviluppo sostenibile è espressione quantomeno ambigua, in realtà un vero ossimoro che ombreggia per la sua storia l’apprezzabile, ma generico, termine “sostenibile”. Lo sviluppo, insomma, accostato a sostenibile si nobilita inquinando quest’ultimo, rivelandosi un concetto etnocentrico ed etnocida.
L’Agricoltura – in senso esteso – conscia dell’alterazione ambientale inscindibilmente connessa al suo esercizio, se non altro per l’inevitabilmente modifica delle densità delle piante che essa determina, con la restituzione ha operato per secoli un tentativo di compensazione delle risorse consumate mediante l’immissione di risorse provenienti da processi uguali o similari. Fra tutte, la distribuzione del letame su terreni.
L’industrializzazione, l’urbanizzazione, la necessità di approvvigionare mercati lontani dai luoghi di produzione e le possibilità prima sconosciute di incidere sulle preparazioni alimentari hanno indotto la rottura di questo equilibrio, introducendo, persino con graduale violenza, l’allargamento di quella fungibilità fra il lavoro agricolo e i suoi effetti economici. Fungibilità che per secoli era rimasta riservata ai fattori naturali messi in gioco, come si diceva, con la restituzione.
Così come per forza di cose si è oggi smarrita la possibilità di perpetuare la restituzione, si sono parimenti inseriti nei processi fattori estranei che si tenta di contrastare con le tecniche bio e altre assimilabili.
Così come è stato elaborato e accettato il rispetto del principio dell’invarianza idraulica e idrologica, oggi potremmo elaborare e accettare la proposta di dare teoria e corpo al principio dell’invarianza delle risorse naturali nelle attività agricole, pur consci che l’esercizio agricolo è di per sé alterante.
Per questo, pur partendo dalla sostenibilità, tuttavia dissociando il termine, o ponendosi in chiave disincantata, nei confronti dell’espressione “sviluppo sostenibile”, oggi potremmo mirare a dare corso all’espressione invarianza delle risorse naturali, ben sapendo che si tratta di un traguardo ispiratore – non raggiungibile al pari di “rischio zero” o di “rifiuti zero”, traguardo che serva da ispirazione per intraprendere e mantenere nel tempo un cammino virtuoso e possibile, al quale si può dare vita e corso elaborando con dinamica, senza fine e sempre in progresso, tecniche less impacting.
La sfida, la cornice nella quale ci si inserisce a pieno titolo è il principio DNSH: “do no significant harm”, ovvero “non arrecare un danno significativo” che ispira – per meglio dire dovrebbe ispirare – il Piano nazionale di ripresa e resilienza PNRR. L’attività agricola rientra di pieno diritto – e non potrebbe essere diversamente – nei sei esempi che la Commissione riporta del documento da essa stessa elaborato.
Agricoltura o altro comparto, occorre in ogni caso abbandonare defnitivamente la dizione fraudolenta “sviluppo sostenibile” e modificare profondamente la narrazione corrente, coscienti che ormai è una lotta contro il tempo e che anche chiarire i significati può fare risparmiare secondi preziosi nella corsa verso la sopravvivenza del pianeta e del genere umano.